Mostra di Francesca Mascotto: “Il volto e la maschera”
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Asiago 26 marzo - 25 aprile 2005
Grande affluenza di pubblico alla mostra di Francesca Mascotto intitolata “Il volto e la maschera”, tenutasi al museo “Le carceri” di Asiago. L’esposizione fotografica ha voluto essere una testimonianza d’amore per quelle popolazioni, di origini antichissime, che vivono nei luoghi sperduti della terra e che ben presto, se la “società moderna” non dimostrerà più sensibilità, saranno in via di estinzione. Sono ritratti di uomini e donne scattati praticamente in tutti i continenti: da quello asiatico all’africano, dall’oceanico all’americano.
Francesca Mascotto, biologa e fotografa, vive e lavora a Vicenza alternando la sua attività di docente allo studio della culture. La sua biografia dice che ha effettuato ricerche in Asia, Africa, Papuasia, Centro e Sud America, collaborando a pubblicazioni di carattere antropologico, sia nazionali che internazionali. I suoi studi sul buddismo tibetano e sulla ritualità africane presentati sono documentati in importanti mostre fotografiche e in articoli specialistici.
Da anni è impegnata nella raccolta di materiali relativi alla maschera africana ed asiatica e allo studio dell’estetica applicata all’immagine. Collabora con diverse manifestazioni interculturali, contribuendo con le sue fotografie a rendere più vicine le cultura degli Altri e allo studio sulle tematiche dei diritti del popoli.
Come mai una biologa si interessa di storia e filosofia di popolazioni?
“Ho sempre avuto questa passione - ci racconta Francesca – sin dai tempi del liceo e probabilmente l’ho ereditata da mio padre, grande viaggiatore. Ho iniziato vent’anni fa con viaggi di gruppo, sicuramente un po’ meno impegnativi, in Messico e Sud America e, per entrare un po’ in queste culture, ho iniziato a fotografare. Mi ha sempre interessato la fotografia.
La conoscenza antropologica ha rivelato, dal tempo del colonialismo, tutto, o quasi, della cultura dell’Altro. Ma “ancora qualcosa rimane”, non solo il valore dell’immagine, prima che questa nella realtà della storia contemporanea si allontani, abbandonandoci al nostro destino, ma dell’immaginale che nell’immagine è contenuto.”
È un concetto piuttosto difficile, ce lo vuol spiegare?
“L’immagine- immaginale consiste in un vuoto (il caos primigenio) che nessuna conoscenza oggettiva potrà mai riempire; la sua natura, ad un tempo astratta e concreta, fisica e trascendente, si colloca all’interno dell’occhio mentale piuttosto che nello sguardo retinico.”
E prosegue: “Sono affascinata dai volti. Infatti, nelle mie mostre ci sono tutti ritratti che sono un po’ lo specchio di me stessa. In essi mi ritrovo, mi ritrovo nel loro sguardo:”
È lo sguardo che cattura in questi ritratti. L’occhio va al di là dell’immagine fotografica. Anche le ultime mostre che ha tenuto le ha intitolate: “Uno sguardo oltre l’immagine” quasi a voler parlare di antiche tradizioni che si perdono nella notte dei tempi,di sofferenze, di speranze, di gioie…. Emozioni di vita.
“Per cui, quando scatto una foto, – ci racconta – non è la macchina che scatta, ma il mio occhio interiore. Si crea proprio un filo diretto con le persone che ritraggo in quel momento: un momento di vita che non ci sarà più. Per cui la gioia o il tormento vissuti da un anziano, il sorriso di un bambino che mi guarda divertito dalle sponde del fiume Meckong… sono per me quanto di più affascinante ci possa essere. Non ho mai trovato negli altri un atteggiamento di paura o di ostilità nei miei confronti, anche se era la prima volta che vedevano uno straniero, ma piuttosto curiosità e desiderio di mettersi in contatto.
Questo mi ha molto agevolato, come in Africa, per esempio, dove il discorso non è così scontato, perché alcuni temono che, se vengono fotografati, gli si porti via l’anima. È chiaro – continua Francesca- che si deve “entrare in punta di piedi”, con sensibilità. Cercare di comunicare anche se non si può parlare la stessa lingua: un gesto, un regalo, un sorriso, farsi amico il capo villaggio, oppure cercare di giocare prima con i bambini e quindi, piano, arrivare a far parte della loro quotidianità.
Non si possono fare paragoni tra i viaggi che ho fatto in Africa e quelli in Asia. In questo secondo posto si è sempre colti da una forte spiritualità che si ritrova non solo nel paesaggio, ma anche nelle persone.
In Africa le esperienze sono molto più “tattili”. È la collettività che in questo continente ha un grosso valore e che, tra le altre cose, ha fatto sì che tutte queste popolazioni africane potessero sopravvivere alle grandi siccità. Quindi in primo piano non c’è l’individuo, ma la comunità. In queste culture così diverse dalla nostra – conclude Francesca Mascotto – mi interessa entrare, sempre con estrema sensibilità, anche per capire le dinamiche di trasformazioni sociali che avvengono nel tempo. Ho avuto la fortuna di viaggiare in tempi addietro e noto come tutto si sta occidentalizzando in maniera anomala. Per cui per me vale il motto “mai tornare nei posti in cui siete stati felici”. Ho goduto di momenti di vita che sono stati di grande accrescimento, anche emozionale. Emozioni che vanno al di là del tempo e dello spazio e che lasciano il segno .”